Siete voi ad avere idee,

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o sono le idee ad avere voi?

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Introduzione del curatore: Forse il miglior testo che ognuno di noi abbia scritto sul tema dell’ideologia è una lettera che Nadia inviò una volta a un amico in risposta a un articolo che lui aveva scritto con il suo aiuto (il titolo originale del pezzo era “The Political Struggle is the Struggle Against the Political”, che lui cambiò in “Against the Shallowness of the Political”)… ecco quindi la sua lettera, ristampata dalla sua collezione privata. Ricorda, qualunque cosa tu creda ti imprigiona.

Siete voi ad avere idee, o sono le idee ad avere voi?

“L’ideologo è un uomo che cade nella frode perpetrata dal suo stesso intelletto: quella che un’idea, cioè il simbolo di una realtà momentaneamente percepita, possa avere una realtà assoluta.”

–Socrate, confutando l’interpretazione di Platone delle sue idee

“Il mondo ci sfugge perché torna ad essere sé stesso.”

–Lewis Carroll

2 giugno
Amsterdam (da Chloë, con Phoebe e Heloise)

No, tu non hai affatto capito di cosa sto parlando. Nella tua fretta di acquistare per te l’immagine di “attivista politico” (o, peggio, di teorico) - qualunque cosa sia - hai concluso che tutto deve essere “politico” - di qualsiasi cosa si tratti! Infatti, quanto più si amplia il significato di una parola, tanto più diventa confuso e inutile. Una volta che tutto è politico, allora “politico” non significa più nulla e dobbiamo ricominciare da zero.

Quindi, supponendo che “politica” non sia solo una parola multiuso priva di significato… Naturalmente ci sono modi “politici” di guardare a ogni questione, compresa la propria mortalità - non stavo cercando di negarlo. Questo, infatti, è esattamente il mio punto di vista: una volta che si comincia a pensare a sé stessi come “politici”, una volta che si comincia a ragionare in termini di analisi e di critica - peggio ancora a pensare a sé stessi come se avessimo una critica - si arriva ad affrontare tutto in questi termini, si cerca di inserire tutto nella propria analisi. Essere “politici” diventa un cancro che si diffonde lentamente in ogni angolo del nostro essere, finché non riusciamo a pensare a nulla se non in termini di lotta di classe o di genere o altro.

E non c’è analisi, non c’è ideologia (perché è di questo che stiamo parlando, con la tua insistenza sulla politica del vivere e sulla teoria della politica) abbastanza ampia da catturare tutto ciò che è la vita. Un’ideologia, proprio come un’immagine, è sempre qualcosa che si deve acquistare, cioè si deve rinunciare a una parte di sé in cambio di essa. Quella parte di sé stessi che è ogni aspetto del mondo, ogni esperienza deliziosamente complessa, ogni dettaglio irriducibile che non si adatta alla struttura che si ha orgogliosamente costruito.

Certo, si può guardare al sesso orale, ai tramonti, alle canzoni d’amore e al buon cibo cinese in termini di questioni politiche, o anche affrontarle in un modo che è politico in un senso molto meno superficiale, ma il fatto è che quando si è lì in quei momenti ci sono cose che sfuggono a qualsiasi tipo di comprensione, per non parlare di espressione, per non parlare di analisi. Vivere e sentire sono semplicemente troppo complicati per essere catturati completamente da qualsiasi linguaggio, o da qualsiasi combinazione di significati. Proprio come quel fottuto idiota di Platone, la vittima dell’ideologia (che ti prego di non diventare) arriva a dubitare della realtà di tutto ciò che non può simboleggiare con il linguaggio (politico o di altro tipo), perchéé ha dimenticato che i suoi simboli sono solo comode generalizzazioni che sostituiscono gli innumerevoli momenti unici che costituiscono l’universo.

Posso anticipare la tua replica: la mia critica del politico è essa stessa una valutazione politica, una parte della mia ideologia. E così è. Ti scrivo con tanta veemenza in merito perché è una questione con cui sto davvero lottando. Mi ritrovo a trasformare tutto in un trattato o in una critica politica, posseduto da (quello che la mia ideologia descrive così!) una compulsione capitalistica e a convertire tutti i miei sentimenti e le mie esperienze in oggetti, cioè in teorie da portare con me. I miei valori sono arrivati a ruotare intorno a queste teorie, che esibisco come prova della mia intelligenza e della mia importanza, allo stesso modo in cui un borghese esibisce la sua auto come prova del suo valore: la mia vita non è più incentrata sulle mie esperienze reali, ma sulla “lotta” - mentre io avrei voluto che tale lotta fosse incentrata sulle mie esperienze, non attorno a un nuovo sostituto! Mi piacerebbe dire che questa lettera è la mia ultima presa di posizione contro le esigenze totalizzanti della politica… ma probabilmente è stato molto tempo fa, l’ultima volta che sono stata in grado di riflettere su qualcosa senza che le ramificazioni politiche mi venissero in mente. Attento a ciò che desideri, E…, quando dici che tutto è politico.

Credo che parte di questo bisogno patologico di sistematizzare tutto derivi dal fatto che viviamo in città. Ogni singola cosa che ci circonda è stata creata dagli esseri umani e ha un significato umano specifico ad essa collegato; così, quando ci si guarda intorno, invece di vedere gli oggetti reali che ci circondano, si vede una foresta di simboli. Quando stavo in montagna, era diverso. Andavo a passeggiare e non vedevo cartelli recitanti “non camminare”, ma alberi e fiori, cose che hanno un’esistenza al di là di qualsiasi quadro di significati e di valori dall’uomo attribuiti. In piedi sotto un cielo stellato, lì, a guardare l’orizzonte silenzioso, il mondo mi sembrava così immenso e profondo che potevo solo stare davanti a lui muta e tremante. Nessuna politica potrebbe mai fornire un contenitore abbastanza profondo per contenere quei momenti. Non per dire che non c’è motivo di concettualizzare le cose, E…, perché certo a volte è utile… ma è un mezzo, e non l’unico strumento, per un fine molto più grande. Questo è tutto. Ti lascio con questa, la mia umile traduzione di una frase della lettera di addio che l’amante di Mao Tse-tung gli scrisse poco dopo il cosiddetto successo della cosiddetta rivoluzione comunista cinese:

“È tristemente prevedibile che l’unico modo che riuscite a escogitare per celebrare la liberazione che provate nel lasciarvi alle spalle il vecchio sistema sia quello di escogitare un “sistema di liberazione”, come se una cosa del genere potesse esistere, eppure è quello che possiamo aspettarci da chi non ha mai conosciuto altro che sistemi e sistematizzazioni, credo.”

Con affetto,
Nadia